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Roma Capitale, nonostante tutto

Raimondo Fabbri2019-06-10T11:00:10+02:00
Di Raimondo Fabbri Politica

Da alcune settimane sta tenendo banco nell’immancabile polemica quotidiana fra gli alleati del governo gialloverde, la questione legata alla norma da inserire nel Decreto Crescita, dapprima soprannominata come “Salva Roma” e poi più diplomaticamente ribattezzata “Salva comuni” in ossequio a Matteo Salvini che da subito aveva storto il naso rispetto al nome assegnato ad una norma che, nelle intenzioni pentastellate e del sindaco Raggi in primis, sarebbe servito per risolvere l’annoso problema di cassa della città eterna, nonché capitale della Repubblica italiana.

E’doveroso ricordare che il problema di liquidità che la affligge da anni e la gestione separata, chiesta da Alemanno nel 2008, con cui lo Stato si accollava la gestione del debito, era la soluzione necessaria per evitare di dichiarare il fallimento finanziario. La richiesta di Alemanno fu dunque indispensabile per poter continuare ad amministrare il comune, che dopo le gestioni Rutelli e Veltroni, aveva accumulato un debito da 12 miliardi di euro.

La vicenda legata al “Salva Roma” ha riproposto con forza il tema dello status della nostra capitale e soprattutto la percezione che di essa hanno gli italiani. In qualche modo Salvini, tradendo la trasformazione nazionale del movimento di cui è segretario, ha riproposto una polemica dal sapore antico, di quando la Lega era ancora Nord nel nome e non aveva deciso di parlare a tutta la Nazione.

Tale atteggiamento, legato al vocabolario del vecchio leghismo in versione padana, tradisce una certa idiosincrasia nei confronti di una città che è stata sempre maldigerita dal resto del paese. La tradizione municipalistica e le vicende storiche che hanno visto un fiorire di capitali nella nostra penisola, soprattutto nel periodo pre-unitario, hanno certamente contribuito a formarne un’idea negativa, che la rappresenta come la sede di un «amministrazione centrale proverbialmente inefficiente, anche quando in realtà non lo è» (G. Dottori, Una questione capitale: Roma rifiutata, in Limes n.2/2019 pag.184). Eppure oggi appaiono maturi più che mai, i tempi per una serie discussione sull’assetto istituzionale di Roma al pari di quanto avvenuto e realizzato per altri capitali europee, ragionando soprattutto sui trasferimenti statali.

E’ quanto meno incomprensibile che la capitale di una media potenza come l’Italia, non abbia adeguato riconoscimento e soprattutto non venga considerata come un asset del paese nella usa totalità. Risulta pertanto oltremodo indispensabile dotare Roma, come capitale della Repubblica, di autonomia al pari di Londra, Berlino, Parigi o Bruxelles, che pur essendo intimamente legate all’assetto istituzionale dei loro stati nazionali, godono comunque di specifici poteri. Ad esempio per Parigi, si è stabilito con la Legge n.2010-597 del 3 giugno 2010 l’istituzione del Grand Paris, definita nell’art.1 «come un progetto di sviluppo sostenibile d’interesse nazionale».

In questo senso Roma non dovrebbe essere da meno e l’opera appena accennata in termini di poteri con la Legge n.42 del 5 maggio 2009 sul c.d. Federalismo fiscale, va proseguita e portata a termine per dotare anche la nostra Capitale dello status che le spetta e che le consentirebbe di rafforzare sia il concetto di unità nazionale che soprattutto quello di Stato, purtroppo scaduto nel corso degli ultimi decenni in quanto ad autorevolezza. E se non è necessario scomodare Mommsen che riteneva impossibile tenere Roma senza un’idea imperiale, è certamente vero che una Capitale forte rappresenterebbe un importante magnete geopolitico al servizio dell’intera Nazione, al pari di altre città del mondo che hanno compreso l’importanza del loro ruolo nella competizione globale.

 

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